Il 46% degli occupati in Italia, nel 2022, ha dichiarato di aver cambiato lavoro nell’ultimo anno o di avere intenzione di farlo di qui a 18 mesi. I giovani, il settore IT e le professioni digitali sono tra i più colpiti dal fenomeno del turnover negativo. I CIO possono, tuttavia, ricorrere a precise strategie per frenare il ricambio e trattenere i talenti. Credito: Shutterstock Un anno e mezzo, al massimo due. Si limita a questa breve durata la fedeltà media dei lavoratori IT nelle imprese italiane. Lo indicano molti CIO e lo confermano i dati dell’ultimo Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano: lo studio stima che l’8% dei lavoratori italiani ha cambiato volontariamente lavoro negli ultimi 12 mesi per aver ricevuto un’offerta, e il 3% lo ha fatto senza un’alternativa al momento delle dimissioni. Inoltre, il 12% ha intenzione di lasciare il lavoro da qui a 6 mesi e il 23% intende farlo nel medio periodo (nei prossimi 12-18 mesi). Le percentuali salgono tra i giovani sotto i 27 anni (Generazione Z): il 77% ha lasciato o lascerà entro un anno e mezzo il posto di lavoro, con o senza un’altra offerta pronta. I lavoratori dei settori finance, ICT e servizi, e le professioni digitali sono i più interessati dal turnover. “Non parlerei proprio di infedeltà, quanto piuttosto di un mercato molto florido, con tanta offerta per chi ha competenze IT, e nel quale le persone sono comprensibilmente alla ricerca di nuovi stimoli. Ed è per questo che, se non li trovano, tendono a cambiare dopo un anno e mezzo, al massimo due”, afferma Flavio Del Bianco, CTO e co-founder di BizAway, una piattaforma per i viaggi business. “C’è qualche eccezione, legata al compenso oppure a situazioni specifiche sia a livello professionale che privato. Ma è soprattutto per questo motivo che il dipendente IT tende a cambiare lavoro”. Perché il turnover può essere un problema Con turnover, o tasso di ricambio del personale, si intende “la misura e la frequenza con cui i dipendenti attuali lasciano l’azienda”, spiegano gli esperti di Randstad. Queste figure vanno, di volta in volta, rimpiazzate. Ogni azienda sperimenta un certo tasso di turnover, ma il fenomeno diventa “patologico” quando è così alto da compromettere lo svolgimento delle attività operative e da intaccare il morale di chi resta. SUBSCRIBE TO OUR NEWSLETTER From our editors straight to your inbox Get started by entering your email address below. Inserisci un indirizzo e-mail valido Abbonarsi Inoltre, alla lunga, un tasso di ricambio elevato può mettere a repentaglio i progetti di digitalizzazione delle imprese e il loro stesso business, che in misura crescente dipende dalla capacità di generare innovazione. Secondo Mercer Global Talent Trends 2022 [in inglese], che ha coinvolto in uno studio 11.000 executive e dipendenti di aziende estere e italiane, il freno più temuto nei confronti delle strategie di trasformazione aziendale è rappresentato proprio dal turnover accelerato, soprattutto nei professionisti del digitale (il 70% dei leader HR si aspetta tassi elevati di ricambio, soprattutto in Europa). La prima motivazione per cui ci si licenzia, secondo l’Osservatorio del Polimi, è cercare migliori condizioni economiche e benefit. Al secondo posto, e sempre più rilevante, c’è la flessibilità nell’organizzare il proprio orario lavorativo. Il ricambio elevato del personale IT riguarda tutti Il tasso di ricambio di 12-18 mesi viene confermato da altri IT manager (alcuni ci hanno chiesto di restare anonimi). Nelle aziende più grandi può arrivare a interessare il 50% dei professionisti della tecnologia. Anche la Pubblica amministrazione registra un impatto importante in tal senso, con il ricambio veloce del personale IT che si riversa indirettamente sugli enti pubblici in quanto acquirenti di servizi da partner tecnologici privati. L’emergenza è esacerbata dalla necessità per la Pa di realizzare in tempi certi i progetti legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che aumentano la richiesta di professionisti del digitale. Metti il dipendente nella comfort zone Per contrastare il fenomeno, Del Bianco afferma di lavorare sull’engagement: coinvolgere e motivare il dipendente è imperativo. “Bisogna portarlo nella sua comfort zone e fargli sentire che l’azienda c’è”, argomenta il manager. “Noi cerchiamo di rendere il lavoro sempre il più interessante possibile grazie all’uso delle nuove tecnologie e alla formazione continua, di intercettare gli eventuali malumori che si possono generare nelle dinamiche quotidiane, e di intervenire prima che sia il dipendente a chiedere un cambiamento”. “Personalmente, cerco di interpretare le esigenze e curare i singoli talenti. Ma se una persona è decisa ad andare via non faccio una controfferta, non è il mio modo di procedere. Certo, per il CIO non è facile ogni volta accettare che una risorsa vada via”, ammette Del Bianco. Tre consigli per i CIO È il CIO, infatti, ad avere il delicato compito di capire e coltivare le sue risorse. In molti casi, il turnover elevato è anche legato a contesti in cui le organizzazioni separano nettamente i compiti dell’IT e delle Risorse Umane e il CIO non si fa carico in prima persona dei talenti del suo team. Come mostrano i risultati dell’Osservatorio del Polimi, i professionisti dell’IT spesso lasciano un posto perché il progetto su cui lavorano non è stimolante, le mansioni sono ripetitive o le tecnologie su cui lavorano sono sorpassate, segno che l’innovazione fa bene alle aziende anche in ottica di talent retention, la capacità di attrarre risorse qualificate e preziose.La leadership del CIO e la portata innovativa dei progetti sono due fattori chiave per ridurre il tasso di ricambio del personale. C’è un terzo elemento che migliora nettamente la capacità di attrazione e fidelizzazione dei talenti IT: dare la possibilità di fare smart working, lasciando spazio per la vita personale e aiutando a costruire quella “felicità” che oggi, spesso anche in modo vago, è fortemente ricercata nel lavoro. Al tempo stesso, il lavoro remoto genera un’ulteriore complessità per il CIO, che deve essere abile nel far sentire comunque la presenza dell’azienda, veicolare i suoi valori e la sua mission, prendersi cura delle persone e capirle nella loro singolarità nonostante la distanza fisica, e assegnandole ai progetti che più possono coinvolgerle. Nuovi compiti ma anche nuovi stimoli, quindi, per un CIO più strategico. 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